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Necessità attrattività fattibilità per una transizione energetica realistica

2024-05-14 10:22

Fabio Pistella

iniziative,

Necessità attrattività fattibilità per una transizione energetica realistica

Transizione vuol dire cambiamento. Un cambiamento da progettare e realizzare e non da subire come ineluttabile e predeterminato. Ma attenzione alle velleità inc

Transizione vuol dire cambiamento. Un cambiamento da progettare e realizzare e non da subire come ineluttabile e predeterminato. Ma attenzione alle velleità inconcludenti e potenzialmente nocive: la parola chiave nel titolo del mio intervento è l'aggettivo "realistica".

 

Il primo requisito per scegliere ed operare con realismo è capire che la transizione deve essere globale.

 

In questo contesto il primo significato di globale è tematico in connessione con la circostanza che all’ordine del giorno non c’è solo l’energia - con l’ovvio vincolo ambientale e in particolare climatico - ma anche la tenuta del sistema economico e sociale. Questa consapevolezza è ben presente nel titolo del Convegno che evoca lo sviluppo sostenibile e ormai tutti sappiamo che la sostenibilità è una condizione a tre dimensioni: ambientale, economica e sociale. 

 

Il secondo significato di globale è geografico nel senso che l’approccio o riguarda il pianeta nella sua complessità o è perdente. Non esistono soluzioni valide se circoscritte alla dimensione nazionale e non bastano nemmeno quelle su scala europea. 

 

Le motivazioni più importanti di questa globalità sono almeno cinque: 

  • il pianeta è uno e peraltro alle emissioni di CO2 l’Italia contribuisce per l’uno percento e l’UE l’otto per cento; inoltre noi siamo in discesa (l’Italia 20 per cento in meno in trent’anni) e i Paesi più significativi (Cina e India) sono in salita (torneremo su questo punto).
  • il sistema economico finanziario, ma anche quello industriale è globalizzato: da sempre lo è stato il comparto energia (rapporti con il modo arabo, con la Russia, con gli Stati Uniti) ma da qualche decennio è globalizzato l’intero sistema (si pesi all’’attuale peso dell’interscambio con la Cina e con i Paesi del Sud  Est Asiatico[2])
  • la digitalizzazione e la rete hanno creato connessioni, ma anche interdipendenze che due decenni fa non avremmo immaginato
  • è in atto un conflitto per costruire nuovi equilibri geopolitici (non solo la guerra in Ucraina) materializzato in una serie di scontri solo apparentemente locali (l’accesso all’energia è strumento di guerra ibrida)
  • le migrazioni sono un fenomeno che non riguarda i singoli paesi destinatari e che aldilà dei transitori può trovare soluzione solo con investimenti nei paesi di provenienza che in molti casi sono caratterizzati da disponibilità energetiche potenziali elevate (in termini sia di fossili sia di rinnovabili) e da penuria al limite della povertà energetica come disponibilità effettiva con una serie di conseguenze socio economiche che sono tra le motivazioni che inducono alle migrazioni.

 

Le prove dell’interconnessione tra queste “partite” sono numerose e continue (cito solo i rapporti tra la guerra in Ucraina e l’approvvigionamento di gas, o da più lungo tempo la situazione in Libia e l’approvvigionamento di gas) ma tendiamo a non rendercene conto). Che non se ne rendano conto i cittadini è comprensibile. Che non se ne rendano conto le istituzioni, in particolare quelle comunitarie lo è meno, eppure l’impressione di frammentarietà e contraddittorietà di alcune decisioni è molto forte. 

 

Alcuni esempi: la corsa alla penetrazione del fotovoltaico in tempi incompatibili con l’autonomia di produzione in Europa che ha portato a un quasi monopolio cinese in tutta la componentistica elettronica oltre che nei pannelli, la decisione di blocco delle vendite di auto con motori termici al 2035 (insieme alla più generale ostilità al comparto
delle auto con motore a combustione interna) che ha portato a un forte indebolimento del settore automotive europeo; le tasse aggiuntive nei porti europei  in correlazione con le emissioni delle navi che li utilizzano con potenziali deviazioni altrove dei traffici commerciali. Sarebbe d’obbligo porsi alcune domande. Può l’Europa continuare ad accettare sistemi distorsivi della concorrenza (in Cina, ma anche in India, aiuti di stato per la manifattura, negligenza assoluta di norme per la protezione dei lavoratori e dell’ambiente)? È compreso nella sua reale importanza il rischio che venga distrutto il sistema manifatturiero europeo? La vicenda in corso di un rifiuto della Commissione UE alla unione tra Ita Airways e Lufthansa ci porta alla domanda perché l’UE deve impedire la costituzione di aggregati in grado di competere sui mercati internazionali? 

 

Quanto alle interconnessioni, si pongono altre domande. Sul fronte delle tecnologie e degli investimenti dovrebbe essere chiaro che un’ampia diffusione delle rinnovabili determina sul sistema elettrico conseguenze incisive (bidirezionalità, diffusione, capacità di trasporto e distribuzione della rete; sistema di accumulo e/o di generazione senza limiti di orario). Sul fronte dell’equilibrio della finanza pubblica è stata trovata una soluzione per la scomparsa delle entrate dalle accise sui carburanti e la presenza di uscite per gli incentivi alle elettriche?

 

Occorre un disegno di respiro, una progettualità mirata e definita per la quale si possono dare alcune linee guida: 

 

1. Ai livelli decisionali internazionali non possono essere adottate decisioni minuziose prescrittive sul come, sui dettagli, sulle proibizioni: l’Unione europea deve uscire da questa sindrome della prescrizione puntuale del “che fare” uguale per tutti; il suo ruolo è fissare obiettivi, dare indirizzi ma lasciare le scelte operative ai singoli Stati, in coerenza con condizioni locali, situazioni di partenza, esperienze, potenzialità che sono differenti per i diversi Paesi.

 

2. L’Europa non può essere la mosca cocchiera: deve rendersi conto dei propri limiti e non può credere di salvare il mondo con decisioni velleitarie ed autolesionistiche: ripeto che stiamo mettendo in gioco la sopravvivenza del nostro sistema produttivo con decisioni sbagliate e gli stop and go sono ancora peggio. Dovrebbe esser acquisito che dare l’esempio non serve a nulla perché gli altri non ci stanno a sentire, che i moralismi sulle colpe passate non hanno effetti pratici e dobbiamo privilegiare la fattibilità. È inutile che l’UE tagli con conseguenze socio economiche devastanti il proprio otto per cento di emissioni di CO2 in atmosfera se Cina e India (insieme il sessanta per cento) continuano a far crescere le loro emissioni. Prevedere passaggi intermedi, ad esempio sostituzione del carbone con il gas molto meno climalterante del carbone è benefica (comunque deve avvenire là dove il carbone ha una quota elevata, appunto Cina e India che però non prendono impegni in tal senso).

 

In definitiva non possono essere proposti né all’opinione pubblica né agli operatori economici obiettivi non fattibili che generano però danni molto consistenti sul fronte economico e sociale senza alcun beneficio in quanto non realizzabili e/o non numericamente incisivi sul fronte climatico. Esortazioni o proponimenti riconducibili ad espressioni del tipo “facciamo comunque qualcosa” “tutto può essere utile", “diamo dei segnali”, “sensibilizziamo l’opinione pubblica”, “compensiamo gli eccessi del passato” non devono giustificare una forma di autolesionismo se le risultanze quantitative sono ininfluenti e i costi sociali ed economici sono elevati.

 

D’altra parte non ha senso adottare un atteggiamento passivo, quello del "tirare a campare” e rinviare sostenendo che si può “proseguire come prima”. Ammesso anche, per esaminare logicamente tutte le possibilità che la questione climatica non sia un problema, le altre questioni ci impongono una transizione, un cambio di strategia o più esattamente di avere finalmente una strategia e non un insieme di singoli passi in un affanno che fa perdere lucidità e buon senso.

 

Allora che fare?

 

Si può convenire una lista di azioni che non hanno controindicazioni per le quali attrattività e fattibilità stanno insieme. 

 

1. Riassetto del territorio in particolare in Italia e più in generale interventi di remediation (cioè volti a metterci in grado di fronteggiare alcune conseguenze dei previsti cambiamenti climatici; l’Olanda è un Paese dove, anche per condizioni geografiche e storiche sono forti questa consapevolezza e questa competenza)

2. Sviluppo qualitativo e quantitativo delle infrastrutture hardware e software 

3. Promozione dello sviluppo dei Paesi della costa mediterranea dell'Africa (non c'è altra strada per evitare pressioni migratorie inarrestabile e insostenibili all'infuori delle illusioni. Per lungo tempo “aiutiamoli a casa loro” era considerata una bestemmia, ma non c'è altra strada. Il Piano Mattei può essere un contributo alla soluzione se raggiunge dimensioni proporzionate alla situazione in atto e suscita apporti aldilà della scala italiana.

4. Promozione dell'efficienza nell'uso delle risorse in particolare energetiche da non confondere con abbattimento dei consumi connessi con il crollo del Pil.

5. Promozione delle rinnovabili integrate con i necessari sistemi per trasporto accumulo e back-up. In Italia siamo sulla buona strada, ma occorre maggiore selettività per quanto riguarda impatto paesaggistico, ruolo della manifattura nazionale e costi (da tener presenti che da oltre cinque anni sulla bolletta elettrica gravano per gli incentivi circa 10 miliardi di euro all’anno e la situazione proseguirà per circa 10 anni).

6. Dematerializzazione spinta. Digitalizzazione. Dal possesso all’uso. Sistemi collettivi di utilizzo dell’energia e dei mezzi di trasporto.

7. Materie prime seconde e centralità del concetto di economia circolare ma anche comprendendola definizione corretta di risorse da non confondere con quella delle materie prime (sono le tecnologie che trasformano le materie prime in risorse: macchine a vapore per il carbone motore a scoppio per il petrolio;  reattori nucleari per l’uranio; pannelli fotovoltaici per il silicio)

8. Abbandonare pregiudizi ingiustificati nei confronti dell'energia nucleare: molto ha dato, molto sta dando, molto potrà dare con nuove soluzioni impiantistiche; il nucleare è il mix ideale con le rinnovabili a compenso della loro discontinuità.

9. Evitare totalitarismi nelle soluzioni, favorire il pluralismo o come si usa dire adesso, la neutralità tecnologica. 

10. Più in generale abbandonare gli estremismi nell’opposizione alla localizzazione degli impianti: vicende quali il rigassificatore a Livorno, l’opposizione al gasdotto Tap, il mancato rigassificatore a Brindisi vanno denunciate per quel che sono: ostacoli ingiustificati alla transizione.

 

Prioritariamente vanno perseguite iniziative relative a ricerca, sviluppo, open innovation, reti di infrastrutture, prototipi. Indispensabili azioni di informazione e formazione di qualità. a tutti i livelli. Condizionante è aprire un dialogo costruttivo con la pubblica opinione perché il consenso è, ai fini della transizione energetica, la vera risorsa scarsa

 

Ultimo segnale per la dimensione UE: più coraggio, più determinazione più consapevolezza dei reali interessi del nostro continente, meno particolarismi. Un esempio per tutti: l’armonizzazione vera delle politiche fiscali è indispensabile, con la moneta unica. (Non sembri fuori tema: il fisco decisivo sia per il prezzo finale dell’energia, non solo per i cittadini ma soprattutto come componente importante dei costi di produzione sia come stimolo o remora per la localizzazione degli impianti produttivi. 

 

Il documento Letta e il documento Draghi vanno nella direzione giusta, quella di una UE  più consapevole delle proprie esigenze ed opportunità e più determinata.

 

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